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Il film sulla storia di una transgender. Una donna fantastica

Una donna fantastica è un film importante, interroga lo spettatore senza farglielo pesare e lo costringe a chiedersi quale sia il suo posto nel mondo. Perché, se l’amore non ha un posto, allora non ce l’ha niente.
Il regista cileno si concentra ossessivamente sui dettagli: la tensione dei volti, i colori e gli scatti nervosi di Marina. Anche se spesso scade nel didascalico – per essere certo di far passare il messaggio – calcando i sotto-testi dell’intreccio. Sono moltissimi i simboli che si susseguono: uno specchio deformante, un fantasma in un autolavaggio, un vento fortissimo, i colori primari riflessi sulla pelle.
Più Lelio pone al centro della scena Marina, più gli altri personaggi non sanno come trattarla e finiscono con l’emarginarla brutalmente. La insultano definendola mostro e frocio, sbagliando anche nel tentativo di odiarla e incasellarla a tutti i costi. Le fanno del male. La chiamano chimera e le chiedono se abbia cambiato sesso, e lei risponde quello che Lelio risponde a tutti noi:
“Sono affari miei.”

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